“UN ABBRACCIO DA KIEV. LETTERA A UNA BAMBINA RINATA” di Mariangela Rossi

Foto gentilmente concessa dall’Ufficio Comunicazione Savoy Hotel

Riceviamo e, volentieri, pubblichiamo il comunicato in oggetto

 

La storia dell’adozione di una bambina dall’Ucraina, 10 anni fa, ci parla di accoglienza, di bisogni reciproci, di aperture e di mondi diversi che si incontrano

Una lunga attesa di adozione per una coppia di aspiranti genitori e un viaggio che sembrava infinito, durato quasi tre mesi e iniziato nel dicembre 2011, in una regione oggi tornata centrale nel conflitto tra Russia e Ucraina, il Donbass: le Repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk, riconosciute ufficialmente “indipendenti” dal Cremlino, governate dai separatisti filorussi dal 2014, sostenuti dal punto di vista militare e finanziario da Mosca, dove è nata Anastasia. Mariangela, con il marito Michele, sono partiti per il loro iter adottivo in Ucraina circa due anni prima dell’inizio di quel conflitto.

Inizia così il libro “Un abbraccio da Kiev. Lettera a una bambina rinata” (Solferino), un viaggio, dall’Ucraina all’Italia, ma anche un percorso dell’anima, di speranza, di resistenza, anche di fuga, nel tentativo di rifarsi una vita. Con una sfida, quella di oltrepassare nuovi confini. Fisici ed esistenziali. E un nuovo ritrovarsi che dà il via alla narrazione, quello dell’autrice con Elèna, la donna che l’aveva accompagnata nell’adozione di Anastasia e che adesso è appena riuscita a fuggire dall’Ucraina in guerra.

Quello per andare a incontrare la loro figlia è stato un viaggio di speranza e di amore. La preparazione a Milano, la partenza con l’ultimo volo della loro vita da coppia “single”, la lunga attesa nei giorni che precedono l’incontro, vissuti in una Kiev che profumava – e sognava già – di Europa, con il cuore colmo di aspettative e cercando di vivere con la leggerezza da turisti. Ma anche da giornalista, perché Mariangela l’aveva narrata in un reportage come una città ricca di storia che stava, però, già guardando al futuro, con musei di arte contemporanea, nuovi ristoranti di design, l’arrivo di qualche catena internazionale di hotel. Ogni giorno, però, era sempre scandito dall’attesa di una telefonata che li avvisasse di un abbinamento imminente e sconosciuto.

E poi la foto della bimba che sarebbe diventata la loro, Anastasia, la tenerezza, la corsa per prepararsi al lungo viaggio per raggiungerla, oltre 10 ore su un treno parzialmente alimentato a carbone per arrivare alle 5 di mattina a Kremmina, con temperature che arrivavano anche a – 27 gradi, l’incontro con lei (come ci capiremo? Basta poco, scoprono poi), la prima bambola, kukla Nadja, i primi passi per scoprirsi e comunicare, i giochi, la conoscenza ogni giorno. E ancora, le vicende quotidiane in Internat (gli orfanotrofi statali, ce n’erano circa 400 nel Paese, ora fatti quasi tutti evacuare per mettere i bambini in rifugi in sicurezza, molti a Leopoli e tanti in campi profughi nei Paesi al confine).

Sino all’ufficializzazione al Tribunale locale e al momento della partenza. Il dramma di tanti bambini che in quel momento abbracciano Mariangela, pregandola di portarli via, di avere anche loro una chance di vita nuova. Le lacrime, le valige piene di vestiti lasciate al direttore, il sacchettino di Anastasia con gli ultimi ricordi dei suoi primi nove anni in Ucraina. Lei che esce dall’Internat come una bimba nuova, con abitini puliti e nuovi e trattiene il pianto, salutando con la manina. Pakà, ciao quando si va via. Sapendo che mai avrebbe più rivisto nessuno di quei bambini. Ancora la notte a Severodonetsk, la prima tutti e tre insieme, con uno sfogo improvviso di dermatite in tutto il corpo, mentre l’interprete Elena, la farmacia notturna, il medico chiamato di urgenza avvisano che è tutto normale, che capita spesso, che si tratta di ansia ma anche della gioia di iniziare una nuova vita. Così è stato. Una nuova vita. Ancora un paio di settimane insieme a Kiev, in un appartamento questa volta, da veri locali. Sotto la neve e le temperature rigide, a scoprire tutto di Anastasia, passo dopo passo scelte, abitudini, giochi, sogni.

Il libro è la storia di Anastasia e della sua nuova famiglia ma racconta anche della speranza per tante famiglie adottive di offrire una nuova casa, una nuova famiglia, una nuova vita a tanti bambini rimasti orfani. E anche a chi ora si sta smobilitando per poter ospitare le migliaia di profughi che stanno arrivando in Italia, capendo da dove arrivano e tutto il carico di amore di cui hanno bisogno.

Un bravo genitore adottivo dovrebbe aver la capacità di legare il passato con il presente e con il futuro, senza divari tra un prima “brutto” e un dopo “bello”, ma trovare una collocazione, dando spiegazioni senza mai trasferire negatività, piuttosto sempre autostima e sicurezza.

Quella del libro “Un abbraccio da Kiev. Lettera a una bambina rinata” è la storia di un’integrazione felice, di un amore infinito e di difficoltà superate in nome dell’accoglienza e della prospettiva di una vita insieme a tre.

 

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